Biografia di Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi ( _Giacomo Taldegardo Francesco Salesio
Saverio Pietro Leopardi_ ; Recanati, 29 giugno 1798 [^1 ] –
Napoli, 14 giugno 1837 ) è stato un poeta, filosofo, scrittore e
filologo italiano.
È ritenuto tra i maggiori poeti italiani dell'Ottocento e una
delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché
uno dei principali esponenti del romanticismo letterario,
sebbene abbia sempre criticato la corrente romantica di cui
rifiutò quello che definiva "l'arido vero", ritenendosi vicino al
classicismo. La profondità della sua riflessione sull'esistenza
e sulla condizione umana — di ispirazione sensista e
materialista — ne fa anche un filosofo di spessore. La qualità
lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel
panorama letterario e culturale internazionale, con ricadute
che vanno molto oltre la sua epoca.
Leopardi, intellettuale dalla vastissima cultura, inizialmente
sostenitore del classicismo, ispirato alle opere dell'antichità
greco-romana, ammirata tramite le letture e le traduzioni di
Mosco, Lucrezio, Epitteto, Luciano e altri, approdò al
Romanticismo dopo la scoperta dei poeti romantici europei,
quali Byron, Shelley, Chateaubriand, Foscolo, divenendone
un esponente principale, pur non volendo mai definirsi
romantico. Le sue posizioni materialistiche, derivate
principalmente dall'Illuminismo, ma sviluppatesi successivamente in un compiuto sistema filosofico e
poetico,[^3 ] si formarono invece sulla lettura di filosofi come il barone d'Holbach,[^4 ] Pietro Verri e
Condillac,[^5 ] a cui egli unisce però il proprio pessimismo, originariamente probabile effetto di una grave
patologia che lo affliggeva[^6 ][^7 ]. Morì nel 1837 poco prima di compiere 39 anni, di edema polmonare o
scompenso cardiaco, durante la grande epidemia di colera di Napoli.
Il dibattito sull'opera leopardiana a partire dal Novecento, specialmente in relazione al pensiero
esistenzialista fra gli anni trenta e cinquanta del Novecento, ha portato gli esegeti ad approfondire l'analisi
filosofica dei contenuti e significati dei suoi testi. Per quanto resi specialmente nelle opere in prosa, essi
trovano precise corrispondenze a livello lirico in una linea unitaria di atteggiamento esistenziale.
La madre di
Giacomo,
Adelaide dei
marchesi Antici
Il padre di
Giacomo, conte
Monaldo
Leopardi
La casa natale, Palazzo Leopardi
Riflessione filosofica ed empito poetico fanno sì che Leopardi, al pari di Blaise Pascal, Schopenhauer,
Kierkegaard, Nietzsche e più tardi di Kafka, possa essere visto come un esistenzialista o almeno un
precursore dell'esistenzialismo.
Nacque nel 1798 a Recanati, nello Stato pontificio (oggi in
provincia di Macerata, nelle Marche), da una delle più nobili
famiglie del paese, primo di dieci figli.[^8 ] Quelli che arrivarono
all'età adulta furono, oltre a Giacomo, Carlo (1799-1878), Paolina
(1800-1869), Luigi (1804-1828) e Pierfrancesco (1813-1851).[^9 ] I
genitori erano cugini fra di loro.[^10 ] Il padre, il conte Monaldo, figlio
del conte Giacomo e di Virginia dei marchesi Mosca, nobili di
Pesaro, era un uomo di idee reazionarie e amante degli studi; la
madre, la nobildonna Adelaide Antici, era una donna energica, molto
religiosa fino alla superstizione, legata alle convenzioni sociali e a
un concetto profondo di dignità della famiglia, motivo di sofferenza
per il giovane Giacomo che non ricevette tutto l'affetto di cui sentiva
il bisogno.[^11 ][^12 ]
In conseguenza di alcune speculazioni azzardate fatte dal marito,[^13 ][^14 ] la contessa Adelaide prese in
mano un patrimonio familiare fortemente indebitato, riuscendo a rimetterlo in sesto solo grazie a una
rigida economia domestica.[^15 ] La rigidità della madre, i sacrifici economici e i pregiudizi nobiliari
pesarono sul giovane Giacomo.[^16 ] Fino al termine dell'infanzia, Giacomo crebbe comunque allegro,
giocando volentieri con i suoi fratelli,[^17 ] soprattutto con Carlo e Paolina che erano più vicini a lui d'età e
che amava intrattenere con racconti ricchi di fervida fantasia.[^18 ]
Ricevette la prima educazione, come da tradizione familiare,
da due precettori ecclesiastici, il gesuita don Giuseppe Torres
fino al 1808 e l'abate don Sebastiano Sanchini fino al 1812,
che influirono sulla sua prima formazione con metodi
improntati alla scuola gesuitica. Tali metodi erano incentrati
non solo sullo studio del latino, della teologia e della
filosofia, ma anche su una formazione scientifica di buon
livello contenutistico e metodologico. Nel Museo leopardiano
a Recanati è conservato, infatti, il frontespizio di un trattatello
sulla chimica, da lui composto insieme al fratello Carlo.[^19 ] I
momenti significativi delle sue attività di studio, che si
svolgono all'interno del nucleo familiare, sono da rintracciare
Biografia
Infanzia
Formazione giovanile
Puerili e abbozzi vari
nei saggi finali, nei componimenti letterari da donare al padre in occasione delle feste natalizie, la stesura
di quaderni molto ordinati e accurati e qualche composizione di carattere religioso da recitare in
occasione della riunione della Congregazione dei nobili.[^20 ]
Il ruolo avuto dai precettori non impedì, comunque, al giovane Leopardi di intraprendere un suo
personale percorso di studi avvalendosi della biblioteca paterna molto fornita (oltre ventimila volumi)[^21 ]
e di altre biblioteche recanatesi, come quella degli Antici, dei Roberti e probabilmente da quella di
Giuseppe Antonio Vogel, letterato alsaziano esule in Italia in seguito alla Rivoluzione francese giunto a
Recanati tra il 1806 e il 1809 come membro onorario della cattedrale della cittadina. Nel 1809 il giovane
Giacomo compone il sonetto intitolato La morte di Ettore che, come lui stesso scrive nell' _Indice delle
produzioni di me Giacomo Leopardi dall'anno 1809 in poi_ ,[^22 ] è da considerarsi la sua prima
composizione poetica. Da questi anni ha inizio la produzione di tutti quegli scritti chiamati "puerili".[^23 ]
Il corpus delle opere cosiddette "puerili"[^24 ] dimostra come il
giovane Leopardi sapesse scrivere in latino sin dall'età di
nove-dieci anni e padroneggiare i metodi di versificazione
italiana in voga nel Settecento, come la metrica barbara di
Fantoni, oltre ad avere una passione per le burle in versi
dirette al precettore e ai fratelli.[^25 ]
Nel 1810 iniziò lo studio della filosofia e due anni dopo,
come sintesi della sua formazione giovanile, scrisse le
Dissertazioni filosofiche che riguardano argomenti di logica,
filosofia, morale, fisica teorica e sperimentale (astronomia,
gravitazione, idrodinamica, teoria dell'elettricità, eccetera).
Tra queste si ricorda la _Dissertazione sopra l'anima delle
bestie_. Nel 1812, con la presentazione pubblica del suo saggio
di studi che discusse davanti a esaminatori di vari ordini
religiosi e al vescovo, si può far concludere il periodo della
sua prima formazione, che è soprattutto di tipo sei-
settecentesco ed evidenzia l'amore per l'erudizione oltre che
uno spiccato gusto arcadico.[^26 ]
Dal 1809 al 1816 Leopardi si immerse totalmente in uno
"studio matto e disperatissimo",[^27 ] espressione da lui stesso coniata, che assorbì tutte le sue energie e che
avrebbe recato gravi danni alla sua salute.
Apprese perfettamente il latino (sebbene si considerasse sempre "poco inclinato a tradurre" da questa
lingua in italiano[^28 ]) e, senza l'aiuto di maestri, il greco antico. Seppure in modo più sommario apprese
anche altre lingue: l'ebraico,[^29 ][^30 ] il francese,[^31 ] l'inglese, lo spagnolo e il tedesco (nello Zibaldone si
trovano inoltre cenni ad altre lingue antiche, come il sanscrito[^32 ][^33 ]). Nel frattempo, nel 1812 cessa la
formazione dell'abate Sanchini, il quale ritenne inutile continuare la formazione del giovane che ne
sapeva ormai più di lui. Risalgono a questi anni la Storia dell'astronomia del 1813, il Saggio sopra gli
Produzione dei "puerili"
Formazione personale
Primi due volumi di Opere
errori popolari degli antichi del 1815, diversi discorsi su
scrittori classici, alcune traduzioni poetiche, alcuni versi e tre
tragedie, mai rappresentate durante la sua vita, La virtù
indiana , Pompeo in Egitto e Maria Antonietta (rimasta
incompiuta).[^34 ]
Per quanto riguarda la compilazione della _Storia
dell'astronomia_ Leopardi si avvalse di numerose fonti: il testo
di base fu sicuramente la _Storia dell’astronomia di Bailly,
ridotta in compendio dal signor Francesco Milizia_ , a partire
dalle Histoires del celebre astronomo francese Jean Sylvain
Bailly.[^35 ] L'opera, pubblicata nel 1791, terminava con la
scoperta del pianeta Urano da parte di Herschel. Invece, il
lavoro di Leopardi presenta ulteriori aggiornamenti, come ad esempio la scoperta di Cerere, Pallade,
Giunone e della cometa del 1811.[^35 ] Per l'elaborazione del suo testo, Leopardi fece uso anche dell' _Abrégé
d’astronomie_ di Jérôme Lalande (presente nella biblioteca di casa Leopardi nell’edizione del 1775), del
Dictionnaire de Physique di Aimé-Henri Paulian[^36 ] e delle storie di matematica inserite nel Tacquet e nel
Wolff. Inoltre Leopardi adoperò diverse opere generali come la Storia della letteratura italiana di
Girolamo Tiraboschi, gli Scrittori d’Italia di Mazzuchelli e varie raccolte biografiche di alcuni ordini
religiosi: Wadding per i francescani, Quétif e Échard per i domenicani e così via. L'elenco di questi testi
dimostra l’erudizione raggiunta dal giovane Leopardi.[^35 ] Nella Storia dell'astronomia Leopardi lasciò
anche trasparire i limiti del suo interesse per la matematica. Nulla, probabilmente, sapeva a proposito dei
logaritmi (ai quali invece il Bailly-Milizia aveva dedicato due pagine illustratrici) e sull'argomento si
limitò a scrivere che «Enrico Briggs (...) avendo udita la invenzione de' logaritmi fatta da Giovanni
Neper» aveva pubblicato un’opera al riguardo. Probabilmente, infatti, Leopardi non studiò mai i
logaritmi, così come si arrestò alla geometria cartesiana e al calcolo differenziale.[^35 ]
Iniziò nello stesso periodo anche le prime pubblicazioni e lavorò alle traduzioni dal latino e dal greco,
dimostrando sempre di più il suo interesse per l'attività filologica. Le traduzioni erano spesso corredate da
discorsi introduttivi e note: si ricordano gli Scherzi epigrammatici , tradotti dal greco nel 1814 e pubblicati
in occasione delle nozze Santacroce-Torre dalla Tipografia Frattini di Recanati nel 1816, la
Batracomiomachia nel 1815 e pubblicata su Lo Spettatore italiano il 30 novembre 1816, gli idilli di
Mosco, il Saggio di traduzioni dell'Odissea , la Traduzione del libro secondo dell'Eneide , il Moretum (un
poemetto pseudo-virgiliano), e la Titanomachia di Esiodo, pubblicata su «Lo Spettatore italiano» il 1º
giugno 1817.[^37 ]
Nello stesso anno aveva di fatto esordito come poeta, pubblicando, sempre sulle pagine de _Lo Spettatore
Italiano_ , un giovanile Inno a Nettuno e due odi greche corredate di traduzione latina; il giovane Leopardi
presentò le opere come tratte dai lacerti di un manoscritto del XIV secolo, segnalatogli da un amico
romano, che gli avrebbe inviato i testi, corredandoli delle traduzioni latine delle due odi (l' Inno a Nettuno
era invece presentato come versione italiana dello stesso Leopardi sulla base del testo greco, di cui
vengono stampati solo il primo e l'ultimo verso). Si trattava di un gioco di finzione letteraria, essendo
Leopardi autore di tutti e tre i testi.[^38 ]
La biblioteca di Casa Leopardi
Tra il 1815 e il 1816 si avverte in Leopardi un forte cambiamento, frutto di una profonda crisi spirituale,
che lo porterà ad abbandonare l'erudizione per dedicarsi alla poesia. Egli si rivolge, pertanto, ai classici
non più come ad arido materiale adatto a considerazioni filologiche, ma come a modelli di poesia da
studiare. Seguiranno le letture di autori moderni come Alfieri, Parini,[^39 ] Foscolo e Vincenzo Monti, che
serviranno a maturare la sua sensibilità romantica.[^40 ] Ben presto egli legge I dolori del giovane Werther
di Goethe, le opere di Chateaubriand, di Byron, di Madame de Staël. In questo modo Leopardi inizia a
liberarsi dall'educazione paterna accademica e sterile, a rendersi conto della ristrettezza della cultura
recanatese e a porre le basi per liberarsi dai condizionamenti familiari. Appartengono a questo periodo
alcune poesie significative come Le Rimembranze , L'Appressamento della morte e l' Inno a Nettuno ,
nonché la celebre e non pubblicata Lettera ai Sigg. compilatori della Biblioteca Italiana , indirizzata nel
luglio 1816 ai redattori della rivista milanese, in risposta alla lettera _Sulla maniera e utilità delle
traduzioni_ di Madame de Staël, apparsa sul primo numero, nel gennaio dello stesso anno.[^41 ]
Destinato dal padre alla carriera ecclesiastica per la sua fragile salute, rifiuterà di intraprendere questa
strada.
Durante la sua vita Leopardi usò talvolta il titolo di cortesia di conte, anche se il titolo nobiliare era
ancora detenuto dal padre, e fu concesso, in seguito alla morte di Giacomo e alla perdita del
maggiorascato di Carlo per aver contratto un matrimonio sgradito alla famiglia, solo nel 1837 al fratello
Pierfrancesco (che succederà a Monaldo nel 1847 ).
Nel 1815-1816 Leopardi fu colpito da
alcuni seri problemi fisici di tipo
reumatico, disagi psicologici che egli
attribuì almeno in parte — come la
presunta scoliosi — all'eccessivo studio,
isolamento e immobilità in posizioni
scomode delle lunghe giornate passate
nella biblioteca di Monaldo.[^42 ]
La malattia esordì con affezione
polmonare e febbre e in seguito gli causò
la deviazione della spina dorsale (da cui
la doppia "gobba"), con dolore e
conseguenti problemi cardiaci,
circolatori, gastrointestinali[^6 ]) e
respiratori (asma e tosse), una crescita stentata[^7 ], problemi neurologici alle gambe (debolezza, parestesia
con freddo intenso[N 1]), alle braccia e alla vista, disturbi disparati e stanchezza continua; nel 1816
Leopardi era convinto di essere sul punto di morire.[^43 ]
Un'altra malattia di Leopardi era la perdita della vista, che causò il parziale abbandono dei suoi studi
intensi.
Il marchese Filippo Solari di Loreto scrive poco dopo a Monaldo Leopardi:
Conversione letteraria: dall'erudizione al bello
Problemi di salute
«L'ho lasciato sano e dritto, lo trovo dopo cinque anni consunto e scontorto, con avanti e dietro
qualcosa di veramente orribile.»
Egli stesso si ispira a questi seri problemi di salute, di cui parlerà anche a Pietro Giordani, per la lunga
cantica L'appressamento della morte [^44 ][^45 ][^46 ] e, anni dopo, per Le ricordanze , in cui ripensa a questo e
definisce la sua malattia come un "cieco malor", cioè un male di non chiara origine, che gli fa pensare al
suicidio assieme all'angusto ambiente:
«Mi sedetti colà su la fontana / Pensoso di cessar dentro quell'acque / La speme e il dolor mio. Poscia,
per cieco / Malor, condotto della vita in forse, / Piansi la bella giovanezza, e il fiore / De' miei poveri
dì, che sì per tempo / Cadeva...[^47 ]»
L'ipotesi più accreditata per lungo tempo (diffusa già nel XIX secolo e sostenuta da medici di Recanati e
da Pietro Citati) è che Leopardi soffrisse della malattia di Pott (gli studiosi scartano la diagnosi
dell'epoca, più volte riproposta anche nel Novecento, di una normale scoliosi dell'età evolutiva)[^7 ], cioè
tubercolosi ossea o spondilite tubercolare[^48 ], oppure dalla spondilite anchilosante giovanile (secondo Erik
P. Sganzerla), una sindrome reumatica autoimmune che porta a una progressiva ossificazione dei
legamenti vertebrali con deformazione e rigidità del rachide[^6 ][^49 ].
Nel decennio seguente l'apparire dei disturbi, alcuni medici fiorentini, come altri medici consultati in
gioventù, a parte la deformità fisica asseriranno — probabilmente in maniera erronea — che numerosi
disturbi del Leopardi erano dovuti a nevrastenia di origine psicologica (sempre in questo periodo
comincia a soffrire di crisi depressive che taluni attribuiscono all'impatto psicologico della malattia
fisica), come lui stesso a tratti sostenne, anche contro il parere di numerosi dottori.[^50 ][^51 ][^52 ][^53 ]
«Ma io non aveva appena vent’anni, quando da quella infermità di nervi e di viscere, che privandomi
della mia vita, non mi dà speranza della morte, quel mio solo bene mi fu ridotto a meno che a mezzo;
poi, due anni prima dei trenta, mi è stato tolto del tutto, e credo oramai per sempre.»
(Lettera dedicatoria dei Canti, agli amici di Toscana, 1831)
Secondo il neurologo Sganzerla, propositore della tesi sulla spondilite al posto della tubercolosi, Leopardi
non mostrava invece alcun segno di vera depressione psicotica, sfatando il mito sostenuto da Citati e dai
lombrosiani come Patrizi e Sergi.[^6 ]
Queste patologie comunque, se non condizionarono il suo pensiero in maniera diretta (come ribadito
spesso da Leopardi), influenzarono comunque il suo pessimismo filosofico e lo spinsero a indagare le
cause della sofferenza umana e il significato della vita da una prospettiva originale, divenendo, come
affermato dal critico Sebastiano Timpanaro, "un formidabile strumento conoscitivo".
Lo stesso argomento in dettaglio: Pensiero e poetica di Giacomo Leopardi § La malattia come
strumento conoscitivo.
Dopo il primo passo verso il distacco dall'ambiente giovanile e con la maturazione di una nuova ideologia
e sensibilità che lo portò a scoprire il bello in senso non arcaico, ma neoclassico, si annuncia nel 1819
quel passaggio dalla poesia di immaginazione degli antichi alla poesia sentimentale che il poeta definì
l'unica ricca di riflessioni e convincimenti filosofici.[^54 ]
Conversione filosofica: dal bello al vero
Busto di Giacomo Leopardi op. 1 o delle
"Rimembranze", uno dei due busti del
poeta di Michele Tripisciano, esposto nel
museo Tripisciano di Caltanissetta
Il 1817 fu per Leopardi, che giunto alle soglie dei diciannove
anni aveva avvertito, in tutta la sua intensità, il peso dei suoi
mali e della condizione infelice che ne derivava, un anno
decisivo che determinò nel suo animo profondi mutamenti.
Consapevole ormai del suo desiderio di gloria e insofferente
dell'angusto confine in cui, fino a quel momento, era stato
costretto a vivere, sentì l'urgente desiderio di uscire, in
qualche modo, dall'ambiente recanatese. Gli avvenimenti
seguenti incideranno sulla sua vita e sulla sua attività
intellettuale in modo determinante.[^55 ]
In questo periodo è anche la prima formulazione della "teoria
del piacere", una concezione filosofica postulata da Leopardi
nel corso della sua vita. La maggior parte della teorizzazione
di tale concezione è contenuta nello Zibaldone , in cui il poeta
cerca di esporre in modo organico la sua visione delle
passioni umane. Il lavoro di sviluppo del pensiero leopardiano
in questi termini avviene dal 12 al 25 luglio 1820[^56 ].
«Da fanciulli, se una veduta, una campagna, una pittura, un
suono ec. un racconto, una descrizione, una favola,
un'immagine poetica, un sogno, ci piace e diletta, quel piacere e quel diletto è sempre vago e
indefinito: l'idea che ci si desta è sempre indeterminata e senza limiti: ogni consolazione, ogni piacere,
ogni aspettativa, ogni disegno, illusione ec. (quasi anche ogni concezione) di quell'età tien sempre
all'infinito: e ci pasce e ci riempie l'anima indicibilmente, anche mediante i minimi oggetti. Da grandi,
o siano piaceri e oggetti maggiori, o quei medesimi che ci allettavano da fanciulli, come una bella
prospettiva, campagna, pittura ec. proveremo un piacere, ma non sarà più simile in nessun modo
all'infinito, o certo non sarà così intensamente, sensibilmente, durevolemente ed essenzialmente vago
e indeterminato. Il piacere di quella sensazione si determina subito e si circoscrive: appena
comprendiamo qual fosse la strada che prendeva l'immaginazione nostra da fanciulli, per arrivare con
quelli stessi mezzi, e in quelle stesse circostanze, o anche in proporzione, all'idea e al piacere
indefinito, e dimorarvi. Anzi osservate che forse la massima parte delle immagini e sensazioni
indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che una
rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano da lei, sono come un
influsso e una conseguenza di lei; o in genere, o anche in ispecie; vale a dire, proviamo quella tal
sensazione, idea, piacere ec. perché ci ricordiamo e ci si rappresenta alla fantasia quella stessa
sensazione immagine ec. provata da fanciulli, e come la provammo in quelle stesse circostanze. Così
che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non è un'immagine degli oggetti,
ma della immagine fanicullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della
immagine antica.»
(Zibaldone, pagg. 514-514, 1817-1832)
Sempre nel 1817 egli scrisse al classicista Pietro Giordani che aveva letto la traduzione leopardiana del II
libro dell'Eneide e, avendo compreso la grandezza del giovane, lo aveva incoraggiato. Ebbero inizio così
una fitta corrispondenza e un rapporto di amicizia che durerà nel tempo.[^57 ] In una delle prime lettere
scritte al nuovo amico, datata 30 aprile 1817, il giovane Leopardi sfogherà il suo malessere non con
atteggiamento remissivo, ma polemico e aggressivo:
Mutamenti profondi del 1817 e "teoria del piacere"
Corrispondenza con Pietro Giordani
Pietro Giordani
Geltrude Cassi Lazzari con i figli,
illustrazione di Giuseppe Chiarini
per la Vita di Giacomo Leopardi
(1905)
«Mi ritengono un ragazzo, e i più ci aggiungono i titoli di
saccentuzzo, di filosofo, di eremita, e che so io. Di maniera
che s'io m'arrischio di confortare chicchessia a comprare
un libro, o mi risponde con una risata, o mi si mette in sul
serio e mi dice che non è più quel tempo [...] Unico
divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento è
quello che mi ammazza: tutto il resto è noia»
Egli vuole uscire da quel "centro dell'inciviltà e dell'ignoranza
europea" perché sa che al di fuori c'è quella vita alla quale
egli si è preparato ad inserirsi con impegno e con studio
profondo.[^57 ]
Nell'estate 1817 fissa le prime osservazioni all'interno di un
diario di pensiero che prenderà poi il nome di Zibaldone, in
dicembre si innamorerà della cugina, provando per la prima
volta il sentimento d'amore. Pietro Giordani riconosce l'abilità
di scrittura di Leopardi e lo incita a dedicarsi alla scrittura;
inoltre lo presenta all'ambiente del periodico «Biblioteca
Italiana» e lo fa partecipare al dibattito culturale tra classicisti
e romantici. Leopardi difende la cultura classica e ringrazia
Dio di aver incontrato Giordani che reputa l'unica persona che riesce a comprenderlo.[^57 ]
«Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!»
( Il primo amore , v.3)
Nel luglio del 1817 Leopardi iniziò a compilare lo Zibaldone , nel
quale registrerà fino al 1832 le sue riflessioni, le note filologiche e gli
spunti di opere.
Lesse la vita di Alfieri e compilò il sonetto "Letta la vita scritta da
esso" che toccava i temi della gloria e della fama.[^58 ] Alla fine del
1817 un altro avvenimento lo colpì profondamente: l'incontro, nel
dicembre dello stesso anno, con Geltrude Cassi Lazzari, una cugina
di Monaldo, che fu ospite presso la famiglia per alcuni giorni, e per la
quale Giacomo provò un amore inespresso. Egli scrisse in questa
occasione il "Diario del primo amore" e l'"Elegia I", che verrà in
seguito inclusa nei "Canti" con il titolo "Il primo amore".[^57 ][^59 ]
Fra il 1816 e il 1818 la posizione di Leopardi verso il Romanticismo,
che stava suscitando in quegli anni forti polemiche e aveva ispirato la
pubblicazione del Conciliatore , va maturando e se ne possono avvertire le tracce in numerosi passi dello
Zibaldone e in due saggi, la Lettera ai Sigg. compilatori della "Biblioteca italiana" , scritta nel 1816 in
risposta a quella di Madama de Staël, e il Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica , scritto in
risposta alle Osservazioni di Di Breme sul Giaurro di Byron.[^60 ]
Primo amore
Presa di posizione anti-romantica
Manoscritto autografo de L'infinito.
(Visso, Archivio comunale)
Le due opere mostrano l'avversione, sul piano più strettamente concettuale, al Romanticismo. La
posizione di Leopardi rimane fondamentalmente montiana e neoclassica. Tuttavia, come si vedrà, quello
che professava sulla pagina critica si rivelerà, poi, profondamente diverso dai risultati ottenuti nella
poesia dove i temi e lo spirito saranno, invece, perfettamente in sintonia con la mentalità romantica.[^57 ][^61 ]
Aveva, intanto, scritto le due canzoni ispirate a motivi patriottici All'Italia e _Sopra il monumento di
Dante_ , che stanno ad attestare il suo spirito liberale e la sua adesione a quel tipo di letteratura di impegno
civile che aveva appreso dal Giordani.[^57 ]
Il suo materialismo ateo si pone in contrapposizione al Romanticismo cattolico predominante, dal quale
lo separavano notevolmente anche il suo rifiuto di ogni speranza di progresso nella conquista della libertà
politica e dell'unità nazionale, la sua mancanza di interesse per una visione storicistica del passato e per le
esigenze di popolarità e di realismo nei contenuti e nella lingua.[^62 ]
«E il naufragar m'è dolce in questo mare.»
(Giacomo Leopardi, L'infinito , v.15)
Nel 1819 si riacutizzarono i problemi agli occhi.[^63 ] Tra il luglio e l'agosto, ormai maggiorenne, progettò
la fuga e cercò di procurarsi un passaporto per il Regno Lombardo-Veneto da un amico di famiglia, il
conte Saverio Broglio d'Ajano, ma il padre lo venne a sapere e il progetto di fuga fallì. Se mai avesse
lasciato la casa paterna senza il permesso della famiglia, avrebbe dovuto mantenersi a proprie spese.[^64 ]
Fu nei mesi di depressione che seguirono che Leopardi elaborò le prime basi della sua filosofia e,
riflettendo sulla vanità delle speranze e l'ineluttabilità del dolore, scoprì la nullità delle cose e del dolore
stesso. Iniziò intanto la composizione di quei canti che verranno in seguito pubblicati con il titolo di Idilli
e scrisse L'infinito , La sera del dì di festa , Alla luna (originariamente, i titoli di queste ultime erano _La
sera del giorno festivo_ e La ricordanza ), La vita solitaria , Il sogno , Lo spavento notturno. Sono i
cosiddetti "primi idilli" o "piccoli idilli". Qui confluirono i rimpianti per la giovinezza perduta e la presa
di coscienza dell'impossibilità di essere felici.[^65 ]
Nell'autunno del 1822 ottenne dai genitori il permesso di
recarsi a Roma, dove rimase dal novembre all'aprile dell'anno
successivo, ospite dello zio materno, Carlo Antici. A Leopardi
Roma apparve squallida e modesta[^68 ] al confronto con
l'immagine idealizzata che egli si era figurata studiando i
classici. Lo colpirono la corruzione della Curia e l'alto
numero di prostitute, che gli fece abbandonare l'immagine
idealizzata della donna, come scrive in una lettera al fratello
Carlo del 6 dicembre.[^69 ]
Rimase invece entusiasta della tomba di Torquato Tasso, al
quale si sentiva accomunato dall'innata infelicità (verso il
Tasso, che renderà protagonista di una delle Operette morali ,
sarà debitore a livello stilistico e nella scelta di alcuni nomi
più famosi dei suoi componimenti, come "Nerina" e "a
Silvia",[^70 ] tratti dall' Aminta ).[^71 ]
Prima fase dell'ideologia leopardiana
Soggiorno a Roma e ritorno a Recanati
A. Ferrazzi, Ritratto di Giacomo Leopardi ,
1820 circa[^66 ][^67 ], olio su tela, Recanati,
Palazzo Leopardi
Ritratto di Leopardi a metà degli
anni trenta, probabilmente una
riproduzione in eliografia (o altri
tipi) di un'incisione; in alternativa
incisione realizzata con la
tecnica della camera oscura da
artista, tramite bulino.[^73 ]
Recanati, casa Leopardi.
Nell'ambiente culturale romano Leopardi visse isolato e
frequentò solamente studiosi stranieri, tra cui Christian
Bunsen (ministro del regno di Prussia e poi fondatore
dell'Instituto di corrispondenza archeologica,
successivamente divenuto Istituto archeologico germanico) e
Barthold Niebuhr; quest'ultimo si interessò per farlo entrare
nella carriera dell'amministrazione pontificia, ma Leopardi
rifiutò.
Il 31 gennaio del 1823 , nella Basilica dei Santi XII Apostoli
in Roma, ascoltò l'orazione funebre per la morte di Antonio
Canova, scritta e declamata da Melchiorre Missirini, già
segretario dello scultore. Leopardi criticò l'orazione, ma tra
lui e Missirini nacque comunque una duratura amicizia,
testimoniata anche dai rispettivi epistolari.
Nell'aprile del 1823 Leopardi ritornò a Recanati dopo aver
constatato che il mondo al di fuori di esso non era quello da
lui sperato. Tornato a Recanati, Leopardi si dedicò alle canzoni di contenuto filosofico o dottrinale e, tra il
gennaio e il novembre del 1824, compose buona parte delle Operette morali .[^72 ]
Nel 1825 il poeta, invitato dall'editore Antonio Fortunato Stella, si
recò a Milano con l'incarico di dirigere l'edizione completa delle
opere di Cicerone e altre edizioni di classici latini e italiani. A
Milano, però, egli non rimase a lungo perché il clima gli era dannoso
alla salute e l'ambiente culturale, troppo polarizzato intorno al Monti,
gli recava noia.[^74 ]
Decise, così, di trasferirsi a Bologna dove visse (al numero 33 di via
Santo Stefano), tranne una breve permanenza a Recanati nell'inverno
del 1827, sino al giugno di quello stesso anno mantenendosi con
l'assegno mensile dello Stella e dando lezioni private. Nell'ambiente
bolognese Leopardi conobbe il conte Carlo Pepoli, patriota e
letterato, al quale dedicò un'epistola in versi intitolata _Al conte Carlo
Pepoli_ , che lesse il 28 marzo 1826 nell'Accademia dei Felsinei.[^75 ]
Nell'autunno iniziò a compilare, per ordine di Stella, una
"Crestomazia", antologia di prosatori italiani dal Trecento al
Settecento che venne pubblicata nel 1827 alla quale fece seguito,
l'anno successivo, una "Crestomazia" poetica. Uscivano intanto
presso Stella le Operette morali. Frequentò anche la casa del medico
Giacomo Tommasini e strinse amicizia con la moglie Antonietta,
patriota, e la figlia Adelaide (coniugata Maestri), sue
ammiratrici,[^76 ][^77 ] con la famiglia Brighenti e la cantante modenese
Rosa Simonazzi Padovani.[^78 ]
Lontano da Recanati: Milano, Bologna, Firenze, Pisa
Nel giugno dello stesso anno si trasferì a Firenze, dove conobbe il gruppo di letterati appartenenti al
circolo Vieusseux tra i quali Gino Capponi,[^79 ] Giovanni Battista Niccolini (amico e corrispondente di
Ugo Foscolo esule a Londra[^80 ]), Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo e anche Alessandro Manzoni, che si
trovava a Firenze per rivedere dal punto di vista linguistico i suoi Promessi Sposi. Divenne amico
particolarmente del Colletta, ma fu in buoni rapporti anche con Capponi e Manzoni, sebbene quest'ultimo
non condividesse le idee di Leopardi. Fu invece conflittuale il rapporto con Tommaseo, cattolico liberale
fortemente avverso al razionalismo e al materialismo, il quale giunse a provare una forte avversione
personale per Leopardi, attaccandolo ripetutamente su vari giornali (anche se ne riconosceva l'abilità
stilistica nella prosa). Tommaseo arrivò a denigrare Leopardi per il suo aspetto fisico (cosa che farà,
benché solo in corrispondenze private, anche il Capponi, irritato per la Palinodia ).[^71 ][^81 ][^82 ] Leopardi
risponderà nel 1836 con un epigramma diretto contro Tommaseo, oltre che nell'ottava strofa della detta
Palinodia. Al marchese Gino Capponi (1835).[^83 ][^84 ]
Nel novembre del 1827 si recò a Pisa, dove rimase fino alla metà del 1828. Grazie alla mitezza di
quell'inverno, la salute di Leopardi ebbe dei miglioramenti che gli permisero di tornare alla poesia, che
taceva dal 1823 (con l'eccezione della poco riuscita epistola in versi Al conte Carlo Pepoli e del _Coro di
morti nello studio di Federico Ruysch_ contenuto nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie
delle Operette morali ); compose la canzonetta in strofe metastasiane Il risorgimento e il canto A Silvia ,
inaugurando il periodo creativo detto dei Canti "pisano-recanatesi", chiamati anche "grandi idilli", in cui
il poeta si cimenta nella cosiddetta canzone libera o leopardiana, il cui primo sperimentatore era stato
Alessandro Guidi, dalla cui lettura ne era venuto a conoscenza.[^85 ]
«Vaghe stelle dell'orsa, io non credea
tornare ancor per uso a contemplarvi»
( Le ricordanze , vv. 1-2)
Il periodo di benessere era finito e il poeta, colpito nuovamente dalle sofferenze e dall'aggravarsi del
disturbo agli occhi, fu costretto a sciogliere il contratto con Stella[^86 ] e già durante l'estate del '28 si recò a
Firenze nella speranza di riuscire a vivere in modo indipendente. Chiese aiuto ad alcuni amici:
Tommasini gli propose una cattedra di mineralogia e zoologia a Milano, ma il compenso era troppo basso
e la materia poco consona alle conoscenze di Leopardi; Bunsen gli offrì la possibilità di una cattedra a
Bonn o Berlino, ma il poeta dovette subito declinare l'invito, poiché il clima tedesco era troppo rigido e
freddo per la sua salute malferma. Leopardi allora progettò di mantenersi con un lavoro qualsiasi, ma le
sue condizioni di salute non gli permisero nemmeno questo e fu quindi costretto a ritornare a Recanati,
dove rimase fino al 1830.
In questi «sedici mesi di notte orribile»[^87 ] Leopardi si dedicò nuovamente alla poesia e scrisse alcune
delle sue liriche più importanti, tra cui Le ricordanze (la cui ultima parte è dedicata a una giovane
recanatese morta poco prima, Maria Belardinelli, da Leopardi chiamata Nerina), _La quiete dopo la
tempesta_ , Il sabato del villaggio , Il passero solitario (forse su un abbozzo giovanile) e il _Canto notturno
di un pastore errante dell'Asia_ .[^88 ] Queste poesie, a lungo denominate dai critici "grandi idilli" o anche
"secondi idilli", sono ora conosciute, insieme ad A Silvia anche come "canti pisano-recanatesi".[^89 ] In
questo periodo l'insofferenza per la sua città natale, da lui definita "natio borgo selvaggio",[^90 ] aumenta,
proporzionalmente all'avversione per i recanatesi ( gente zotica, vil ), che lo ritenevano un intellettuale
Ritorno a Recanati
Ritratto di Leopardi eseguito da
Giovanni Gallucci, Museo Civico di
Recanati
superbo,[^91 ] tanto che anche i ragazzini del paese, secondo testimonianze postume, cantavano in sua
presenza canzoncine denigranti del tipo: "Gobbus esto / fammi un canestro, / fammelo cupo / gobbo
fottuto".[^92 ]
«Perì l'inganno estremo,
ch'eterno io mi credei.»
( A se stesso , vv. 2-3)
Intanto, nell'aprile del 1830, il Colletta, al quale il poeta scriveva
della sua vita infelice, gli offrì, grazie a una sottoscrizione degli
"amici di Toscana",[^93 ] l'opportunità di tornare a Firenze, dove il
27 dicembre 1831 fu eletto socio dell'Accademia della Crusca.[^94 ]
Nel febbraio del '30 l'Accademia della Crusca indice un premio
letterario a cui Leopardi partecipa con le Operette morali , le quali
però ottengono la preferenza del solo Gino Capponi. Il premio
viene vinto dalla Storia d'Italia di Carlo Botta.
Per mantenersi accettò la sottoscrizione e progettò un giornale che
avrebbe curato quasi da solo, Lo spettatore fiorentino , ma che non
realizzerà a causa della burocrazia e del timore della censura.
Nello stesso 1831 a Firenze curò la prima edizione dei suoi versi
recante il titolo di Canti , partecipò ai convegni dei liberali
fiorentini e strinse infine una salda amicizia con Antonio Ranieri,
giovane napoletano esule e massone, futuro senatore del Regno d'Italia, che durerà fino alla morte.[^95 ] Nel
1831, grazie alla fama di personalità liberale, fu eletto deputato dell'assemblea del governo provvisorio di
Bologna (sorto dai moti del 1831), su designazione del Pubblico Consiglio di Recanati, ma non fa in
tempo ad accettare la nomina (da lui mai richiesta) che gli austriaci restaurano il governo pontificio. I
genitori decidono infine di concedergli un modesto assegno mensile che gli permette di sopravvivere;
Leopardi accetta ma, reputandolo umiliante, decide di non tornare mai più a Recanati.[^96 ]
Risale sempre a questo periodo la forte passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti (terzo e ultimo
amore secondo i biografi, dopo Geltrude Cassi Lazzari e Teresa Malvezzi), moglie del medico fiorentino
Antonio Targioni Tozzetti e forse amante di Ranieri, conclusasi in una delusione, che gli ispirò il
cosiddetto "ciclo di Aspasia", una raccolta di cinque poesie scritte tra il 1831 e il 1835 e che contiene: _Il
pensiero dominante_ , Amore e morte , Consalvo (in cui l'amore è visto ancora positivamente), la
drammatica e scarna A se stesso e Aspasia. In questa raccolta si manifestò il Leopardi più disilluso e
disperato, orfano anche di quella tristezza nostalgica degli Idilli , nella perdita dell'ultima illusione che gli
era rimasta, quella dell'amore ( l'inganno estremo ).[^97 ] Aspasia , seppur piena di rancore e sarcasmo contro
Fanny, è considerata l'unica poesia d'amore (seppur per un amore ormai finito) scritta per una donna che
egli frequentò realmente e intimamente, anche se solo in maniera romantica e intellettiva (per parte di lui;
lei lo descrisse sempre come un amico e dopo la morte come una persona "disgraziata" a cui non voleva
dare alcuna illusione); tuttavia nei primi versi, contenenti la descrizione fisica e caratteriale della
Targioni, presentata come una "donna fatale", si nota anche una tensione erotica molto rara in Leopardi, il
quale ribadisce ripetutamente il fascino esteriore esercitato dalla nobildonna.[^98 ][^99 ][^100 ] L'identificazione
A Firenze dal 1830 al 1833
Fanny Targioni Tozzetti e conclusione delle Operette
Fanny Targioni Tozzetti
della donna con l'Aspasia poetica è data, più che dalle lettere
di Leopardi, dalle affermazioni di Ranieri nei _Sette anni di
sodalizio_ e da alcune lettere tra lui e la Targioni Tozzetti.
Tuttavia, se Aspasia accenna anche a toni polemici e
misogini, in cui Leopardi si dice felice di essersi perlomeno
liberato della dipendenza affettiva verso l'amica, che descrive
quasi come un servilismo morale di cui si vergogna, un
"giogo" ormai spezzato,[^101 ] in una lettera a Fanny dei primi
tempi si scorgono invece le riflessioni sull'amore e la morte
del periodo, che trovano l'esatta corrispondenza con alcuni
versi di Consalvo e con Amore e morte :
«E pure certamente l'amore e la morte sono le sole cose
belle che ha il mondo, e le sole solissime degne di essere
desiderate. Pensiamo, se l'amore fa l'uomo infelice, che
faranno le altre cose che non sono né belle né degne
dell'uomo. Ranieri da Bologna mi aveva chiesto più volte
le vostre nuove: gli spedii la vostra letterina subito
ierlaltro. Addio, bella e graziosa Fanny. Appena ardisco
pregarvi di comandarmi, sapendo che non posso nulla. Ma
se, come si dice, il desiderio e la volontà danno valore, potete stimarmi attissimo ad ubbidirvi.
Ricordatemi alle bambine, e credetemi sempre vostro.»
(Lettera da Roma, 6 agosto 1832)
«Due cose belle ha il mondo: / amore e morte. All'una il ciel mi guida / in sul fior dell'età; nell'altro,
assai / fortunato mi tengo.»
( Consalvo , vv. 102)
Lo spostamento del Consalvo nei Canti molto precedenti al ciclo, avvenuto dall'edizione napoletana, ha
fatto pensare che il personaggio di Elvira sia ispirato anche a Teresa Malvezzi e non solo a Fanny.[^102 ][^103 ]
Per circa quattro anni frequenta molto spesso casa Targioni, cercando di avvicinarsi alla padrona di casa
procurandole moltissimi autografi di scrittori e personaggi famosi, che lei collezionava. In questo periodo
Leopardi diviene amico anche della contessa Carlotta Lenzoni de' Medici di Ottajano, affascinata dalla
grandezza intellettuale del poeta e conosciuta nel 1827, ma poi se ne allontanò.[^104 ] Secondo un'opinione
minoritaria, la donna descritta negativamente come Aspasia sarebbe stata Lenzoni.[^105 ]
Nell'autunno del 1831 si recò a Roma con Ranieri per poi tornare a Firenze nel 1832; nel corso di questo
anno scrisse i due ultimi dialoghi delle "Operette", Il _Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un
passeggere_ e il Dialogo di Tristano e di un amico .[^106 ] Continuò a corrispondere epistolarmente per un
periodo con la Targioni Tozzetti, seppure in maniera più fredda e distaccata.
Quando Ranieri tornò a Napoli, tra i due iniziò una fitta corrispondenza che ha fatto numerosi studiosi
ritenere che tra Leopardi e Ranieri vi fosse un rapporto amoroso.[^107 ][^108 ][^109 ][^110 ][^111 ][^112 ]
Pietro Citati però ritiene che si sarebbe trattato di un semplice e intenso affetto "platonico" assai diffuso
nel XIX secolo, senza traccia di omosessualità, come quello rivolto a suo tempo al Giordani.[^113 ]
In una di queste lettere il poeta scrive a Ranieri:
Anni a Napoli (1833-1837)
Antonio Ranieri, tra gli anni
'40 e '
Busto del poeta presente a Villa Doria
d'Angri
«Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai
nell'amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero
ardentemente che tu provvegga prima d'ogni cosa al tuo benessere; ma
qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo che noi viviamo
l'uno per l'altro, o almeno io per te, sola ed ultima mia speranza.
Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile
e non possibile, sarà eternamente tuo.[^114 ]»
Nel settembre del 1833 Leopardi, dopo aver ottenuto il modesto assegno
dalla famiglia, partì per Napoli con Ranieri, sperando che il clima mite di
quella città potesse giovare alla sua salute. Sugli anni a Napoli, Antonio
Ranieri dichiarò:
«Quivi Leopardi, mentre che io, lasciatone il mio antico letto, dormiva
in una camera non mia (cosa che, nelle consuetudini del paese,
massime in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire
accanto a lui, ebbe, una notte, la strana allucinazione, che la signora di
casa avesse fatto disegno sopra una sua cassetta, nella quale egli non
riponeva mai altro che non nettissimi arnesi da ravviare i capelli, e le
cesoie [...][^115 ]»
Pare infatti che la padrona di casa volesse cacciarli, per timore che
Leopardi fosse portatore di tubercolosi polmonare infettiva; Leopardi sosteneva, invece, che la donna
volesse rubargli oggetti di sua proprietà, mentre Ranieri credeva che soffrisse di paranoie e non ci faceva
caso.[^116 ]
Nell'aprile 1834 Leopardi ricevette visita da August von Platen, che nel suo diario scrisse:
(tedesco)
«Leopardi ist klein und bucklicht, sein Gesicht
bleich und leidend [...] er den Tag zur Nacht
macht und umgekehrt [...] führt er allerdings ein
trauriges Leben. Bei näherer Bekanntschaft
verschwindet jedoch alles [...] die Feinheit seiner
klassischen Bildung und das Gemütliche seines
Wesens nehmen für ihn ein.[^117 ]»
(italiano)
«Leopardi è piccolo e gobbo, il viso ha pallido e
sofferente [...] fa del giorno notte e viceversa[^118 ]
[...] conduce una delle più miserevoli vite che si
possano immaginare. Tuttavia, conoscendolo più
da vicino [...] la finezza della sua educazione
classica e la cordialità del suo fare dispongon
l'animo in suo favore.[^119 ]»
Intanto le Operette morali subirono una nuova censura da
parte delle autorità borboniche, a cui seguì la messa all'Indice
dei libri proibiti dopo la censura pontificia, a causa delle idee
materialiste esposte in alcuni "dialoghi". Leopardi così ne
parlava in una lettera a Luigi De Sinner: «La mia filosofia è
dispiaciuta ai preti, i quali e qui e in tutto il mondo, sotto un
nome o sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente
tutto».[^120 ]
Durante gli anni trascorsi a Napoli si dedicò alla stesura dei
Pensieri, che raccolse probabilmente tra il 1831 e il 1835
riprendendo molti appunti già scritti nello Zibaldone , e riprese
i Paralipomeni della Batracomiomachia che, iniziati nel
1831, aveva interrotto. A quest'ultima opera lavorò fino agli ultimi giorni di vita, assistito dal Ranieri. Di
quest'opera incompiuta, in ottave, ampiamente influenzata sia dalla pseudo-omerica Batracomiomachia
(che già Leopardi aveva tradotta in gioventù, e di cui continua la trama) che dal poema Gli animali
Leopardi sul letto di morte, 1837, ritratto
a matita di Tito Angelini, anch'esso simile
alla maschera mortuaria e quindi molto
realistico e verosimile
parlanti di Giovanni Battista Casti, rimane autografo solo il primo canto. Ranieri affermò sempre che i
successivi sette, di sua mano, furono scritti sotto dettatura di Leopardi. Le ultime ottave sarebbero state
dettate da Leopardi morente poco dopo aver terminato l'ultima poesia, Il tramonto della luna. Tuttavia,
alla luce del fatto che Ranieri investì soldi dopo la morte del poeta per farli pubblicare (peraltro con poco
successo finanziario), alcuni hanno espresso dubbi.
Nel 1836, quando a Napoli scoppiò un'epidemia di colera, Leopardi si recò con Ranieri e la sorella di
questi, Paolina, nella Villa Ferrigni a Torre del Greco, dove rimase dall'estate di quell'anno al febbraio del
1837 e dove scrisse La ginestra o il fiore del deserto .[^121 ] Paolina Ranieri assistette personalmente, con
profondo affetto, Leopardi nei suoi ultimi anni, segnati dall'aggravamento delle sue condizioni
fisiche.[^122 ][^123 ] Paolina (1817-1878) fu «l'unica donna che lo amò, sebbene si trattasse di un amore
fraterno».[^124 ] Benché Ranieri in seguito cercò di sostenere il contrario, Leopardi in questi anni mantenne
economicamente Paolina e Antonio con la scarsa rendita inviatagli dal padre.[^125 ]
A Napoli, nonostante la salute in peggioramento, Leopardi lavorava incessantemente componendo liriche
e satire. Non seguendo le raccomandazioni dei medici, conduceva una vita abbastanza sregolata per una
persona dalla salute fragile come la sua: dormiva di giorno, si alzava il pomeriggio e stava sveglio di
notte; mangiava molti dolci (particolarmente sorbetti e gelati), talvolta frequentava la mensa pubblica
(anche durante il periodo del colera) e beveva moltissimi caffè.[^126 ][^127 ]
A Torre del Greco egli compose gli ultimi Canti: _La ginestra
o il fiore del deserto_ (il suo testamento poetico, nel quale si
coglie l'invocazione a una fraterna solidarietà contro
l'oppressione della natura) e Il tramonto della luna (compiuto
solo poche ore prima di morire). Progettava anche di tornare a
Recanati per vedere il padre, o di partire per la Francia.[^128 ]
Leopardi aveva infatti intenzione di riconciliarsi umanamente
col padre di persona: il tono delle lettere a Monaldo diventò
molto affettuoso negli ultimi tempi, dal formale e nobiliare
"signor padre" e al voi delle lettere giovanili passò all'incipit
"carissimo papà" e al tu. In questo periodo cominciò a
ignorare le prescrizioni, pensando che non potesse comunque
decidere il suo destino. In una lettera al conte Leopardi, una
delle ultime di Giacomo, il poeta avverte la morte come
imminente e spera che avvenga, non sopportando più i suoi mali.[^129 ]
Nel febbraio del 1837 ritornò a Napoli con Ranieri e la sorella, ma le sue condizioni si aggravarono verso
maggio, anche se non in modo tale da far sospettare ai medici o a Ranieri il reale stato di salute.
Il 14 giugno di quell'anno, Leopardi si sentì male al termine di un pranzo (che abitualmente consumava
all'inconsueto orario delle 17); quel pomeriggio, aveva divorato circa un chilo e mezzo di confetti
cannellini, comprati da Paolina Ranieri in occasione dell'onomastico di Antonio, e bevuto una cioccolata,
poi una minestra calda e una limonata (o granita fredda) verso sera.[^130 ] Fu colpito da malore poco prima
di partire per Villa Carafa d'Andria Ferrigni, come era stato programmato: nonostante l'intervento del
La morte
medico, l'asma peggiorò e poche ore dopo il poeta morì.[^131 ] Secondo la testimonianza di Antonio
Ranieri, Leopardi si spense alle ore 21 fra le sue braccia. Le sue ultime parole furono "Addio, Totonno,
non veggo più luce".[^132 ][^133 ]
La morte fu dichiarata all'ufficio dello stato civile il giorno successivo da Giuseppe e Lucio Ranieri, i
quali fecero registrare l'indirizzo del decesso (vico Pero 2, nel territorio della parrocchia della SS.
Annunziata a Fonseca) e indicarono che il fatto era avvenuto "alle ore venti".[^134 ]
Tre giorni dopo il decesso, Antonio Ranieri pubblicò un necrologio sul giornale Il Progresso .[^135 ]
La morte del poeta è stata analizzata da studiosi di medicina già a partire dall'inizio del XX secolo. Molte
sono state le ipotesi, dalla più accreditata (pericardite acuta con conseguente scompenso, oppure
scompenso cardiorespiratorio dovuto a cuore polmonare e cardiomiopatia, seguite a problemi polmonari e
reumatici cronici[^6 ]) a quelle più fantasiose (cibo avariato, congestione, coma diabetico[^124 ] o
indigestione), fino al colera stesso.[^136 ][^137 ][^138 ]). Nessuna delle tesi alternative, tuttavia, è riuscita a
smentire il referto ufficiale diffuso dall'amico Antonio Ranieri: idropisia polmonare[^139 ][^140 ][^141 ].
Leopardi era morto all'età di quasi 39 anni, in un periodo in cui il colera stava colpendo la città di Napoli.
Grazie ad Antonio Ranieri, che fece interessare della questione prima l'ex Ministro degli Interni marchese
di Pietracatella, e poi il ministro di Polizia del Regno, Francesco Saverio del Carretto (unico a poter
concedere una deroga), le sue spoglie (secondo la versione accettata dalla maggioranza dei biografi) non
furono gettate in una fossa comune, come le severe norme igieniche richiedevano a causa dell'epidemia,
ma inumate prima nella cripta e poi (nel 1844, dopo una breve riesumazione alla presenza di Ranieri, che
volle anche aprire la cassa) nell'atrio della chiesa di San Vitale Martire (oggi Chiesa del Buon Pastore),
sulla via di Pozzuoli presso Fuorigrotta. La lapide, spostata poi con la tomba, fu dettata da Pietro
Giordani:
«AL CONTE GIACOMO LEOP ARDI RECANATESE
FILOLOGO AMMIRATO FUORI D'ITALIA
SCRITTORE DI FILOSOFIA E DI POESIE AL TISSIMO
DA PARAGONARE SOLAMENTE COI GRECI
CHE FINÌ DI XXXIX ANNI LA VIT A
PER CONTINUE MALA TTIE MISERISSIMA
FECE ANT ONIO RANIERI
PER SETTE ANNI FINO ALL'ESTREMA ORA CONGIUNTO
ALL'AMICO ADORATO MDCCCXXXVII [^142 ]»
Il ministro avrebbe accettato la richiesta del Ranieri solo dopo che un chirurgo (non il medico curante
Mannella) ebbe eseguita una sorta di sommaria autopsia, per poter dichiarare che la morte non fu dovuta
a colera. Fin dall'inizio il racconto di Ranieri era apparso pieno di contraddizioni e molti furono i dubbi su
quanto aveva dichiarato, perché le sue versioni furono diverse a seconda dell'interlocutore, facendo
sospettare che il corpo del poeta fosse finito nelle fosse comuni del cimitero delle Fontanelle, o in quello
dei colerosi (o nell'attiguo cimitero delle 366 Fosse), destinati in quel periodo ai morti per colera o per
altre cause, come attesta il registro delle sepolture della chiesa della SS. Annunziata a Fonseca di Napoli
(riportante la dicitura "cimitero dei colerosi" e "sepolto id."[^143 ]) o addirittura occultate nella casa di vico
Questione della sepoltura
La lapide originale, traslata nel parco
Vergiliano
La tomba di Leopardi (Parco
Vergiliano a Piedigrotta o
Parco della Tomba di Virgilio,
Napoli)
Pero[^144 ] e che Ranieri avesse inscenato, per un motivo recondito, un funerale a bara vuota, con la
partecipazione dei suoi fratelli, del chirurgo e di un parroco compiacente, a cui avrebbe regalato dei pesci
freschi.
Ranieri continuò ad affermare che le ossa erano nell'atrio
della chiesa di San Vitale e che il certificato d'inumazione
fosse un falso, redatto dal parroco su richiesta del ministro di
Polizia onde aggirare la legge sulle sepolture in tempo di
epidemia. Nel 1898 avvenne una prima ricognizione; secondo
il senatore Mariotti, smentito da altri, durante i lavori di
restauro di alcuni anni prima un muratore aveva rotto
inavvertitamente la cassa, danneggiata dalla troppa umidità,
frantumando le ossa e provocando la perdita di parte dei resti
contenuti, che forse erano stati gettati nell'ossario comune o
addirittura con i calcinacci, mescolando i resti con altre
ossa.[^145 ][^146 ]
Il 21 luglio 1900, alla
presenza dei rappresentanti
regi e del comune di Napoli,
venne effettuata la
ricognizione ufficiale delle
spoglie del recanatese: nella
cassa (un mobile adattato
allo scopo clandestino dai
fratelli Ranieri), troppo piccola per contenere lo scheletro di un uomo
con doppia gibbosità, vennero rinvenuti soltanto frammenti d'ossa (tra
cui residui delle costole, vertebre recanti segni di deformità, un femore
sinistro intero, forse troppo lungo per una persona di bassa statura, e un
altro femore a pezzi), una tavola di legno (con cui gli operai avevano
tentato di riparare il danno alla cassa), una scarpa col tacco e alcuni
stracci, mentre nessuna traccia vi era del cranio e del resto dello
scheletro, per cui in seguito si arrivò anche a formulare la teoria di un
suo trafugamento da parte di studiosi lombrosiani di frenologia amici del
Ranieri[^147 ][^148 ].
Nonostante i dubbi, la questione venne ben presto chiusa. Secondo l'incaricato professor Zuccarelli, era
plausibile che quelli fossero parte dei resti di Leopardi: il medico disse di aver rinvenuto una parte di
rachide e una di sterno, entrambe deviate. Alcuni, pur pensando a un'effettiva morte per colera, credettero
che Ranieri fosse riuscito davvero nell'intento di salvare il corpo dalla fossa comune corrompendo, se non
il ministro, perlomeno dei funzionari incaricati. La scarpa ritrovata, o quello che ne rimaneva, venne poi
acquistata dal tenore Beniamino Gigli, concittadino di Leopardi, e donata alla città di
Recanati.
Dopo vari tentativi di traslare i presunti resti a Recanati, o a Firenze nella basilica di Santa Croce accanto
a quelli di grandi italiani del passato, nel 1939 la cassa, per volontà di Benito Mussolini[^150 ] che esaudì
una richiesta dell'Accademia d'Italia, con regio decreto di Vittorio Emanuele III che ne stabiliva
l'identificazione venne riesumata di nuovo e spostata al Parco Vergiliano a Piedigrotta (altrimenti detto
Giacomo Leopardi, incisione su
rame di Gaetano Guadagnini
(1830), dal ritratto di Luigi Lolli
del 1826 (base per molti ritratti
postumi, tra cui l'olio su tela
esposto alla pinacoteca
comunale di Recanati[^153 ])
Parco della tomba di Virgilio ), nel quartiere Mergellina (luogo poi dichiarato monumento nazionale),
dove tuttora sorge il secondo sepolcro del poeta, eretto quello stesso anno. Nei pressi venne traslata la
lapide originale, mentre parte del monumento fu portata a Recanati. Questa versione è quella sostenuta
ufficialmente dal Centro Nazionale Studi Leopardiani.[^151 ]
Nel 2004 lo studioso leonardiano Silvano Vinceti, che si è occupato della riesumazione e della
identificazione dei resti di Caravaggio, Boiardo, Pico della Mirandola e Monna Lisa), chiese di fare la
terza riesumazione, onde verificare se quei resti siano davvero di Leopardi tramite l'esame del DNA e del
mtDNA, comparato con quello degli attuali eredi dei conti Leopardi (Vanni Leopardi e la figlia Olimpia,
discendenti diretti di Pierfrancesco, fratello minore del poeta) e dei marchesi Antici. La richiesta però fu
respinta sia dalla Soprintendenza sia dalla famiglia Leopardi (tramite la contessa Anna del Pero-Leopardi,
vedova del conte Pierfrancesco "Franco" Leopardi e madre di Vanni).[^150 ]
La posizione ufficiale della famiglia Leopardi, esplicitata dal 1898 in poi[^145 ] e della Fondazione Casa
Leopardi da loro presieduta (di cui è stato presidente fino al 2019 il conte Vanni Leopardi), è invece che i
resti nel parco Vergiliano non siano del poeta e che Ranieri abbia mentito, che il corpo si trovi alle
Fontanelle e che quindi la riesumazione sia inutile, dovendo altresì rispettare la tomba-cenotafio lì
situata.[^152 ] Nel 2014 un altro membro della famiglia, chiamato anche lui Pierfrancesco, si è invece detto
disponibile [^146 ], ma tale esame non è stato finora autorizzato.
Lo stesso argomento in dettaglio: Pensiero e poetica di Giacomo Leopardi.
«Cantare il dolore fu per lui rimedio al dolore, cantare la
disperazione salvezza dalla disperazione, cantare l'infelicità fu per
lui, e non per gioco di parole, l'unica felicità. [...] In quei canti
veramente divini il Leopardi trasformò l'angoscia in contemplativa
dolcezza, il lamento in musica soave, il rimpianto dei giorni morti
in visioni di splendore.»
(Giovanni Papini, Felicità di Giacomo Leopardi (1939)[^154 ])
Il pensiero di Leopardi è caratterizzato, attraverso le fasi del suo
pessimismo, dall'ambivalenza tra l'aspetto lirico-ascetico della sua
poetica, che lo spinge a credere nelle « illusioni » e lusinghe della
natura, e la razionalità speculativo-teorica presente nelle sue
riflessioni filosofiche, che invece considera vane quelle illusioni,
negando ad esse qualunque contenuto ontologico.[^155 ]
La contraddizione tra anelito alla vita e disillusione, tra sentimento e
ragione, tra «filosofia del sì» e «filosofia del no»,[^156 ] era del resto
ben presente allo stesso Leopardi, il quale, secondo Karl Vossler,[^157 ]
si adoperò costantemente per ricomporle, non rassegnandosi mai allo
scetticismo, convinto che la vera filosofia dovesse in ogni caso
mantenere i legami con l'immaginazione e la poesia.[^158 ] Come ha
rilevato De Sanctis:
«[Leopardi] non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare.
Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. [...] È
Poetica e pensiero
Targa della piazzuola del Sabato del
Villaggio
scettico e ti fa credente; e mentre non crede possibile un avvenire men triste per la patria comune, ti
desta in seno un vivo amore per quella e t'infiamma a nobili fatti.»
(Francesco De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi , (1858)[^159 ])
Palazzo Leopardi: è la casa natale del poeta.
Tuttora il palazzo è abitato dai discendenti e aperto
al pubblico. Esso venne ristrutturato nelle forme
attuali dall'architetto Carlo Orazio Leopardi verso la
metà del XVIII secolo. L'ambiente più suggestivo è
senza dubbio la biblioteca, che custodisce oltre
20.000 volumi, tra cui incunaboli e antichi volumi,
raccolti dal padre del poeta, Monaldo Leopardi.
Piazzuola del Sabato del Villaggio: sulla quale si
affaccia Palazzo Leopardi. Lì si trova la casa di
Silvia e la chiesa di Santa Maria in Montemorello
(XVI secolo), ove Giacomo fu battezzato il 30 giugno
1798.
Colle dell'Infinito: è la sommità del Monte Tabor da
cui si domina un panorama vastissimo verso le montagne e che ispirò l'omonima poesia
composta dal poeta a soli 21 anni. All'interno del parco si trova il Centro Mondiale della
Poesia e della Cultura, sede di convegni, seminari, conferenze e manifestazioni culturali. Il
Colle dell'Infinito è diventato un Bene del Fai aperto a tutti.[^160 ]
Palazzo Antici-Mattei: casa della madre di Leopardi, Adelaide Antici Mattei, edificio dalle
linee semplici ed eleganti con iscrizioni in latino.
Torre del Passero Solitario: nel cortile del chiostro di Sant'Agostino è visibile la torre,
decapitata da un fulmine e resa celebre dalla poesia Il passero solitario.
Chiesa di San Leopardo (XIX secolo): venne fatta edificare dalla famiglia Leopardi insieme
e nei pressi della villa affidando la progettazione all'architetto Gaetano Koch. La cripta, a cui
si accede esternamente, è la tomba gentilizia della famiglia Leopardi.
Chiesa di Santa Maria di Varano (XV secolo): costruita nel 1450 per i Minori Osservanti
insieme al Convento annesso, dal 1873, cacciati i frati e abbattuti due lati del convento,
l'orto divenne quello che ancora è il civico cimitero di Recanati. Vi si conserva ancora il
pozzo di San Giacomo della Marca e affreschi nelle lunette del portico. All'interno è la tomba
di famiglia dei Leopardi ove sono sepolti Monaldo e Paolina.[^161 ][^162 ]
Spoleto, Albergo della Posta (corso Garibaldi), 17 novembre 1822.
Palazzo Antici Mattei (Roma, via Michelangelo Caetani), dove fu ospite dal 23 novembre
1822 alla fine d'aprile 1823.
Roma, tomba del Tasso in Sant'Onofrio al Gianicolo, "uno dei posti più belli della terra, in
mezzo agli aranci e ai lecci".
Bologna ("ospitalissima"), convento di San Francesco (piazza Malpighi), primo soggiorno
bolognese (17-26 luglio 1825).
Luoghi leopardiani
A Recanati
Altrove
Targa sull'ultimo domicilio di Leopardi a
Napoli
Casa Badini (29 settembre-3 novembre 1826), vicino al teatro del Corso (oggi via Santo
Stefano, 33) a Bologna ("tutto è bello, e niente magnifico").
Locanda della Pace, via del Corso, a Bologna (26 aprile-20 giugno 1827).
Casa dell'editore Anton Fortunato Stella (1757-1833), vicino al Teatro alla Scala a Milano
("veramente insociale") (30 luglio-26 novembre 1825).
Ravenna ("qui si vive quietissimi"), ospite del marchese Antonio Cavalli (agosto 1826).
Firenze, "sporchissima e fetidissima città", Locanda della Fonte, nei pressi del mercato del
grano e di Palazzo Vecchio (21 giugno 1827 e giorni successivi).
Casa delle sorelle Busdraghi, via del Fosso (poi via
Verdi), Firenze (giugno-novembre 1827).
Palazzo Buondelmonti, abitazione di Giovan Pietro
Vieusseux, a Firenze.
Pisa ("una beatitudine"), via Fagiuoli (casa
Soderini), 9 novembre 1827-8 giugno 1828.
Il Lungarno pisano ("spettacolo così ampio, così
magnifico, così gaio, così ridente, che innamora").
"Una certa strada deliziosa" da lui battezzata "Via
delle Rimembranze", dove va a passeggiare a Pisa
(lettera a Paolina Leopardi del 25 febbraio 1828).
Levane, Camucia e Perugia, novembre 1828, di
passaggio.
Roma ("città oziosa, dissipata, senza metodo"), via dei Condotti 81 ("spendo qui un
abisso"), con Antonio Ranieri, da ottobre 1831 a marzo 1832.
Napoli, piazza Ferdinando; poi Strada nuova di Santa Maria Ognibene (casa Cammarota);
poi vico Pero (tre appartamenti affittati con Ranieri e la sorella di lui Paolina).
Villa Ferrigni, detta villa delle Ginestre, a Torre del Greco, alle pendici dello "sterminator
Vesevo".[^163 ]
Lo stesso argomento in dettaglio: Opere di Giacomo Leopardi.
Di Giacomo Leopardi ci sono rimaste oltre novecento lettere, composte nell'arco di una vita e indirizzate
a circa cento destinatari, tra amici e familiari (soprattutto al padre e al fratello Carlo). L'intero corpus
epistolare di Leopardi è raccolto dall' Epistolario , che malgrado le origini si può leggere come un'opera
autonoma: questa raccolta di prose private, infatti, costituisce un fondamentale documento non solo per
seguire le vicende biografiche del poeta, ma anche per comprendere l'evoluzione del suo pensiero, dei
suoi stati d'animo e delle sue riflessioni culturali.[^164 ]
Opere
Opere in prosa
Epistolario
Copertina della prima edizione dello
Zibaldone di pensieri
Nel 1816 il giovane Leopardi prese parte all'acceso dibattito
culturale innescato dalla pubblicazione del saggio _Sulla
maniera e utilità delle traduzioni_ di Madame de Staël: questa
polemica vide schierarsi da una parte i difensori del
classicismo, quali Pietro Giordani, e dall'altra i sostenitori
della nuova poetica romantica.
Leopardi, amico del Giordani, si allineò alle tesi classiciste,
mettendo per iscritto il proprio pensiero nella _Lettera ai
compositori della Biblioteca italiana_ (1816) e nel _Discorso di
un italiano intorno alla poesia romantica_ , rimasti entrambi
inediti sino al 1906. Nella prima Leopardi, pur riconoscendo
la bontà dell'intervento dell'autrice ginevrina, assume una
posizione contraria alle istanze della lettera, nella quale si
invitava il popolo italiano ad aprirsi alle nuove letterature
europee. Secondo il poeta di Recanati, infatti, si tratta di un
«vanissimo consiglio», essendo la letteratura italiana quella
più vicina alle uniche letterature universalmente valide,
ovvero quella greca e quella latina. Nel Discorso , invece,
Leopardi approfondì la sua riflessione poetica in merito al
dibattito, introducendo temi che poi diverranno centrali della
poesia leopardiana, come l'opposizione tra i concetti di
«natura» e «civilizzazione».[^164 ]
Lo Zibaldone di pensieri è una raccolta di 4526 pagine autografe compilate dal luglio 1817 al dicembre
1832, nelle quali Leopardi depositò ragionamenti e brevi scritti sugli argomenti più vari. Inizialmente
l'opera non era dotata dell'organicità di un testo letterario, essendo semplicemente il frutto di una scrittura
immediata, di getto: Leopardi iniziò a datare i singoli testi solo a partire dal 1820, così da orientarsi
agevolmente nel mare magnum di appunti (da lui definiti un «immenso scartafaccio»), arrivando perfino
a stilare due indici (nel 1824 e nel 1827).[^164 ]
Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani , composto a Recanati tra la primavera e
l’estate del 1824 e rimasto inedito fino al 1906, è un breve trattato filosofico dove Leopardi analizza le
peculiarità che contraddistinguono la società italiana, e le compara con il carattere, la mentalità e la
moralità delle altre nazioni d'Europa. Alla fine dell'opera Leopardi giunge all'amara conclusione che
l'Italia, dilaniata da un esasperato individualismo, è troppo poco civile per godere dei benefici del
progresso (come in Francia, Germania e Regno Unito), ma troppo civile per godere dei benefici dello
«stato di natura», come accadeva nelle nazioni meno sviluppate, quali Portogallo, Spagna e Russia.[^165 ]
Gli interventi nel dibattito classico-romantico
Zibaldone
Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani
Le Operette morali , per usare le parole dello stesso poeta, sono un «libro di sogni poetici, d’invenzioni e
di capricci malinconici»: è ancora Leopardi a descrivere la propria opera in una lettera del 1826
indirizzata all'editore Stella, sottolineando «quel tuono ironico che regna in esse» e specificando che
Timandro ed Eleandro sono «una specie di prefazione, e un’apologia dell’opera contro i filosofi
moderni».[^166 ]
Le Operette , oggi considerate la più alta espressione del pensiero leopardiano, racchiudono l'essenza del
pessimismo del poeta, trattando argomenti quali la condizione esistenziale dell'uomo, la tristezza, la
gloria, la morte e l'indifferenza della Natura.[^166 ]
L' Operetta che sancisce il passaggio dal Pessimismo Storico al Pessimismo Cosmico è il _Dialogo tra la
Natura e un Islandese_ , in cui la natura viene descritta per la prima volta come "matrigna" e malvagia.
I Canti , considerati il capolavoro di Leopardi, racchiudono trentasei liriche composte da Leopardi tra il
1817 e il 1836.[^167 ] Tra i componimenti poetici inclusi nei Canti ricordiamo _Sopra il monumento di
Dante_ , l' Ultimo canto di Saffo , Il passero solitario , La sera del dì di festa , Alla luna , Il risorgimento , _A
Silvia_ , il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia , Il sabato del villaggio , La ginestra e infine
L'infinito , uno dei testi più rappresentativi della poetica leopardiana.
Durante gli anni napoletani Leopardi scrisse due opere, i Paralipomeni della Batracomiomachia e _I nuovi
credenti_. Il primo è un poemetto in ottave con protagonisti animali: «Paralipomeni», infatti, significa
«continuazione» mentre «Batracomiomachia» è «battaglia dei topi e delle rane», ovvero un'opera pseudo-
omerica che Leopardi aveva tradotto in gioventù. Dietro la finzione comica Leopardi qui stigmatizza il
fallimento dei moti rivoluzionari napoletani del 1820-21: i topi infatti, simboleggiano i liberali, generosi
ma velleitari, mentre le rane sono i conservatori papalini, che non esitano a chiamare a sé i granchi-
austriaci, feroci e stupidi.[^167 ]
I nuovi credenti , invece, sono un capitolo satirico in terza rima composto nel 1835 dove Leopardi esprime
una spietata satira contro gli esponenti dello spiritualismo napoletano, dei quali condanna la religiosità di
facciata e lo sciocco ottimismo.[^167 ]
A Giacomo Leopardi si devono numerosi neologismi divenuti patrimonio diffuso (perlomeno in un
linguaggio colto e sorvegliato), come "erompere", "fratricida", "improbo", "incombere", risalenti al
1824 [^168 ]. Al suo tempo, questa vena creativa di Leopardi non fu apprezzata e fu oggetto degli strali di un
atteggiamento purista che opponeva resistenze all'adozione, e all'accoglimento nei lessici, di neologismi
d'uso forgiati in epoca successiva all'«aureo Trecento»[^168 ].
Operette morali
Le opere poetiche
I Canti
Le ultime opere
Parole d'autore
In un caso, un frutto della sua creatività, "procombere", gli guadagnò accuse postume mossegli da
Niccolò Tommaseo[^168 ], coautore del Dizionario della lingua italiana.
A sé stesso , romanza, versi di Giacomo Leopardi, musica di Francesco Paolo Frontini,
Milano, Edizioni Ricordi, 1885.
Coro di morti , versi di G. Leopardi (dal Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie ,
Operette morali), musica di Goffredo Petrassi, per coro e strumenti, 1940-1941.
Tre liriche di Goffredo Petrassi, per baritono e pianoforte, testi di Leopardi, Foscolo e
Montale, 1944.
Lo stesso argomento in dettaglio: Epistolario di Giacomo Leopardi.
Il fatto che l'opera di Leopardi sia stata e sia ogni anno oggetto dello studio di migliaia di studenti ha
determinato (come per Dante) che molte locuzioni delle sue opere siano divenute d'uso corrente. Fra le
principali:
studio matto e disperatissimo... (in lettera a Pietro Giordani del 2 marzo 1818 e Zibaldone di
pensieri );
passata è la tempesta... (in La quiete dopo la tempesta , 1829);
che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai... (in Canto notturno di un pastore errante dell'Asia ,
1829-1930);
natio borgo selvaggio... (in Le ricordanze , 1829 );
la donzelletta vien dalla campagna... (in Il sabato del villaggio , 1829);
godi, fanciullo mio; stato soave... (in Il sabato del villaggio , 1829);
...e naufragar m'è dolce in questo mare (in L'infinito , 1818-1819).
Tra il 1994 e il 1998 il pittore e scultore maceratese Valeriano Trubbiani realizzò una serie di 12
pirografie sul tema Viaggi e transiti , dedicata ai viaggi del poeta nelle varie città della penisola: Recanati
(2), Macerata (2), Roma, Bologna, Pisa, Firenze, Milano, Napoli (3).
Tali opere[^169 ] sono esposte nel CART - Centro permanente per la Documentazione dell'Arte
Contemporanea[^170 ] di Falconara Marittima, che conserva anche altre opere di Trubbiani dedicate a
Leopardi:
10 disegni originali realizzati dal 1971 al 1987 sul tema "Leopardi figurativo",
8 incisioni a colori,
una scultura del 1990 in rame, bronzo e argento con il Poeta pensoso in osservazione di un
gregge di pecore (“Move la greggia oltre pel campo e vede greggi”, ispirata al Canto
Poesia e musica
Epistolario
Nella cultura di massa
Leopardi nell'arte figurativa
Falconara Marittima, CART - Centro
permanente per la Documentazione
dell'Arte Contemporanea, Valeriano
Trubbiani, serie di 12 pirografie "Viaggi e
transiti" dedicate ai viaggi di Giacomo
Leopardi
notturno di un pastore errante dell'Asia , 1829-1930),
un'installazione scultorea sulla Batracomiomachia
("Battaglia dei topi e delle rane") ispirata ai
Paralipomeni della Batracomiomachia leopardiani
(1931-1937).
L'ispirazione prodotta in Trubbiani dall'opera leopardiana è
raccontata dall'artista nel breve documentario Le Marche di
Leopardi [^171 ], patrocinato dalla Regione Marche.
Leopardi è citato nella Canzone per Piero di Francesco
Guccini e in Stai bene lì di Renato Zero; i suoi versi sono
citati anche nei titoli di Canto notturno (di un pastore errante
dell'aria) e Il cielo capovolto (ultimo canto di Saffo) ,
entrambe di Roberto Vecchioni.
Giorgio Gaber, nella canzone Benvenuto il luogo dove , contenuto nell'album Gaber del 1984, dedicata
all'Italia, parla della penisola come il luogo " dove i poeti sono nati tutti a Recanati "[^172 ].
Franco Battiato, nella canzone Frammenti , contenuta nell'album Patriots , cita doppiamente Leopardi nei
versi «La donzelletta vien dalla campagna in sul calar del sole» e «D'in su la vetta della torre antica /
Passero solitario alla campagna cantando vai».
Leopardi viene citato indirettamente nella canzone Canto del servo pastore del concept album di Fabrizio
De André L'indiano , ispirata al componimento di Giacomo Leopardi _Canto notturno di un pastore
errante dell'Asia_.
I Baustelle citano Leopardi e La ginestra nella canzone La morte (non esiste più) dall'album Fantasma
(2013): " Come la ginestra nata sulla pietra lavica".
